Nel Libro dell’Apocalisse, San Giovanni racconta come avendo visto e udito ciò che gli fu rivelato, si prostrava in adorazione ai piedi dell’angelo di Dio (cf. Ap 22, 8). Prostrarsi o mettersi in ginocchio davanti, alla maestà della presenza di Dio, in umile adorazione, era un’abitudine di riverenza che Israele attuava sempre davanti alla presenza del Signore. Dice il primo libro dei Re: «quando Salomone ebbe finito di rivolgere al Signore questa preghiera e questa supplica, si alzò davanti all’altare del Signore, dove era inginocchiato con le palme tese verso il cielo, si mise in piedi e benedisse tutta l’assemblea d’Israele» (1 Re 8, 54-55). La posizione della supplica del Re è chiara: Lui era in ginocchio davanti all’altare.
La stessa tradizione è visibile anche nel Nuovo Testamento dove vediamo Pietro mettersi in ginocchio davanti a Gesù (cf Lc 5, 8); Giairo per chiedergli di guarire sua figlia (Lc 8, 41), il Samaritano tornato a ringraziarlo e Maria, sorella di Lazzaro per chiedere il favore della vita per il suo fratello (Gv 11, 32). Lo stesso atteggiamento di prostrazione davanti allo stupore della presenza e rivelazione divina si nota in genere nel Libro dell’Apocalisse (Ap 5, 8, 14 e 19, 4).
Intimamente legato a questa tradizione, era la convinzione che il Tempio Santo di Gerusalemme era la dimora di Dio e perciò nel tempio bisognava disporsi in atteggiamenti corporali espressivi di un profondo senso di umiltà e riverenza alla presenza del Signore.
Anche nella Chiesa, la convinzione profonda che nelle specie Eucaristiche il Signore è veramente e realmente presente e la crescente prassi di conservare la santa comunione nei tabernacoli, contribuì alla prassi di inginocchiarsi in atteggiamento di umile adorazione del Signore nell’Eucaristia.
Difatti, riguardo alla presenza reale di Cristo nelle specie Eucaristiche il Concilio di Trento proclamò: «in almo sanctae Eucharistiae sacramento post panis et vini consecrationem Dominum nostrum Iesum Christum verum Deum atque hominem vere, realiter ac substantialiter sub specie illarum rerum sensibilium contineri» (DS 1651).
Inoltre, San Tommaso d’Aquino aveva già definito l’Eucaristia latens Deitas (S. Tommaso d’Aquino, Inni). E, la fede nella presenza reale di Cristo nelle specie eucaristiche apparteneva già d’allora all’essenza della fede della Chiesa Cattolica ed era parte intrinseca dell’identità cattolica. Era chiaro che non si poteva edificare la Chiesa se tale fede veniva minimamente intaccata.
Perciò, l’Eucaristia, Pane transustanziato in Corpo di Cristo e vino in Sangue di Cristo, Dio in mezzo a noi, doveva essere accolta con stupore, massima riverenza e in atteggiamento di umile adorazione. Papa Benedetto XVI ricordando le parole di Sant’Agostino «nemo autem illam carnem manducat, nisi prius adoraverit; peccemus non adorando» (Enarrationes in Psalmos 89, 9; CCL XXXIX, 1385) sottolinea che «ricevere l’Eucaristia significa porsi in atteggiamento di adorazione verso, colui che riceviamo […] soltanto nell’adorazione può maturare un’accoglienza profonda e vera» (Sacramentum Caritatis 66).
Seguendo questa tradizione è chiaro che assumere gesti e atteggiamenti del corpo e dello spirito che facilitano il silenzio, il raccoglimento, l’umile accettazione della nostra povertà davanti all’infinita grandezza e santità di Colui che ci viene incontro nelle specie eucaristiche diventava coerente e indispensabile. Il miglior modo per esprimere il nostro senso di riverenza verso il Signore Eucaristico era quello di seguire l’esempio di Pietro che, come racconta il Vangelo, si gettò in ginocchio davanti al Signore e disse «Signore, allontanati da me che sono un peccatore» (Lc 5, 8).
Ora, si nota come in alcune chiese, tale prassi viene sempre meno e i responsabili non solo impongono i fedeli a ricevere la Santissima Eucaristia in piedi, ma hanno persino eliminati tutti gli inginocchiatoi costringendo i loro fedeli a stare seduti, o in piedi, anche durante l’elevazione delle specie Eucaristiche presentate per l’adorazione. E’ strano che tali provvedimenti siano stati presi nelle diocesi, dai responsabili della liturgia, o nelle chiese, dai parroci, senza una pur minima consultazione dei fedeli, anche se oggi più che mai, si parla in molti ambienti, di democrazia nella Chiesa.
Allo stesso tempo, parlando della comunione sulla mano bisogna riconoscere che fu una prassi introdotta abusivamente e in fretta in alcuni ambienti della Chiesa subito dopo il Concilio, cambiando la secolare prassi precedente e divenendo ora la prassi regolare per tutta la Chiesa. Si giustificava tale cambiamento dicendo che rifletteva meglio il Vangelo o la prassi antica della Chiesa.
E’ vero che se si riceve sulla lingua, si può ricevere anche sulla mano, essendo questo organo del corpo d’uguale dignità. Alcuni, per giustificare tale prassi, si riferiscono alle parole di Gesù: «prendi e mangia» (Mc 14, 22; Mt 26, 26). Quali siano le ragioni a sostegno di questa prassi, non possiamo non ignorare ciò che succede a livello mondiale dove tale pratica viene attuata. Questo gesto contribuisce ad un graduale e crescente indebolimento dell’atteggiamento di riverenza verso le sacre specie Eucaristiche. La prassi precedente invece salvaguardava meglio quel senso di riverenza. Sono subentrati invece, una allarmante mancanza di raccoglimento e uno spirito di generale disattenzione. Si vedono ora dei comunicandi che spesso tornano ai loro posti come se nulla di straordinario fosse accaduto. Maggiormente distratti sono i bambini e gli adolescenti. In molti casi non si nota quel senso di serietà e silenzio interiore che devono segnalare la presenza di Dio nell’anima.
Ci sono poi abusi di chi porta via le sacre specie per tenerle come souvenir, di chi le vende, o peggio ancora, di chi le porta via per profanare in riti satanici. Tali situazioni sono state rilevate. Persino nelle grandi concelebrazioni, anche a Roma, varie volte sono state trovate delle specie sacre buttate a terra.
Questa situazione non ci porta solo a riflettere sulla grave perdita di fede, ma anche sugli oltraggi e offese al Signore che si degna di venirci incontro volendo renderci simili a lui, affinché rispecchi in noi la santità di Dio.
Il Papa parla della necessità non solo di capire il vero e profondo significato dell’Eucaristia, ma anche di celebrarla con dignità e riverenza. Dice che bisogna essere consci dell’importanza «dei gesti e della postura, come inginocchiarsi durante i momenti salienti della preghiera Eucaristica» (Sacramentum Caritatis, 65). Inoltre parlando della ricezione della Santa Comunione invita tutti a: «fare il possibile perché il gesto nella sua semplicità corrisponda al suo valore di incontro personale con il Signore Gesù Cristo nel Sacramento» (Sacramentum Caritatis, 50).
In questa ottica è da apprezzare il Libretto scritto da S.E. Mons. Athanasius Schneider, Vescovo Ausiliare di Karaganda in Kazakhstan dal titolo molto significativo Dominus Est. Esso vuole dare un contributo alla discussione attuale sull’Eucaristia, presenza reale e sostanziale di Cristo nelle specie consacrate del Pane e del Vino. È significativo che Mons. Schneider inizi la sua Presentazione con una nota personale ricordando la profonda fede eucaristica della sua mamma e di altre due donne, fede conservata fra tante sofferenze e sacrifici che la piccola comunità dei cattolici di quel Paese ha sofferto negli anni della persecuzione sovietica. Partendo da questa sua esperienza, che suscitò in lui una grande fede, stupore e devozione per il Signore presente nell’Eucaristia, egli ci presenta un excursus storico-teologico che chiarisce come la prassi di ricevere la Santa Comunione in bocca e in ginocchio sia stata accolta e praticata nella Chiesa per un lungo periodo di tempo.
Ora io credo che sia arrivato il momento di valutare bene la suddetta prassi, e di rivedere e se, necessario, abbandonare quella attuale che difatti non fu indicata né nella stessa Sacrosanctum Concilium, né dai Padri Conciliari ma fu accettata dopo una introduzione abusiva in alcuni Paesi. Ora, più che mai, è necessario aiutare i fedeli a rinnovare una viva fede nella presenza reale di Cristo nelle specie Eucaristiche allo scopo di rafforzare la vita stessa della Chiesa e di difenderla in mezzo alle pericolose distorsioni della fede che tale situazione continua a causare.
Le ragioni per tale mossa devono essere non tanto quelle accademiche ma quelle pastorali – spirituali come anche liturgiche – in breve, ciò che edifica meglio la fede. Mons. Schneider in questo senso mostra lodevole coraggio, perché ha saputo cogliere il vero significato delle parole di San Paolo: «ma tutto si faccia per l’edificazione» (1 Cor 14, 26).
Malcolm Ranjith
Segretario della Congregazione del Culto Divino e della Disciplina dei Sacramenti
Prefazione al libro: Mons. Athanasius Schneider, Dominus est – Riflessioni di un Vescovo dell’Asia Centrale sulla sacra Comunione, Libreria Editrice Vaticana, Gennaio 2008, Formato: 11×17.5cm, ¤8.0