Riportiamo di seguito una intervista pubblicata sul sito di Aleteia a nostro avviso molto
interessante.
Che sia uno spunto di riflessione e di meditazione per comprendere come Dio agisce nella
nostra storia. Un’azione, quella divina, spesso non compresa anche dai cattolici che, chiusi
nelle loro idee conservatrici, fanno di Dio quasi un "prototipo" al di fuori del quale
tutto non corrisponde alla Verità. Ci riferiamo in particolare a tutte quelle anime, che spesso ci
capita di incontrare, che sono chiuse nelle loro idee "conservatrici" e che vanno in
cerca di notizie per avvalorarle, finendo per confondere la loro fede e mettendo a rischio quella
degli altri. La Vergine dell’Eucaristia ci ha insegnato in questi anni la fedeltà alla Chiesa ed ha
infuso in noi l’amore per il Santo Padre. Ha messo nel nostro cuore la certezza che sotto il Suo
Manto nulla potrà accaderci. Certi e fiduciosi di queste Sue parole andiamo avanti sotto la Sua
protezione…
La stampa, soprattutto tra i vaticanisti, ha speculato molto sulla discontinuità e perfino sulla
divergenza tra il pensiero e le posizioni conservatrici o liberali di Giovanni Paolo II e Papa
Francesco. Per questo, Aleteia ha voluto intervistare il filosofo messicano Rodrigo Guerra
López, uno dei maggiori esperti del pensiero di Karol Wojtyła.
Di recente lei ha impartito le “Karol Wojtyła Memorial Lectures” all’Università Cattolica
di Lublino, dove Giovanni Paolo II ha insegnato per vari decenni. Qual è il senso di
queste “conferenze”? Qual è in fondo l’attualità di Karol Wojtyła come pensatore?
Molto gentilmente, padre Alfred Wierzbicki, direttore dell’Istituto Giovanni Paolo II
dell’Università Cattolica di Lublino e uno dei più importanti filosofi della Polonia, mi ha esteso
l’invito per offrire una serie di lezioni sul metodo filosofico di Karol Wojtyła.
Credo che proprio questo tema ci aiuti a valorizzare l’attualità del pensiero di Karol Wojtyła-Giovanni Paolo II.

Il metodo che il beato Giovanni Paolo II ha elaborato lentamente nel
corso degli anni, soprattutto attraverso le sue opere filosofiche, è un invito a far uso della
ragione per esplorare l’esperienza fino al suo fondo più radicale e definitivo. È andare dal
fenomeno alla base.
In questo modo, Wojtyła non crea un sistema compiuto di pensiero, ma apre un cammino
educativo per imparare a pensare, per interrogare la realtà e ottenere risposte fondamentali
sull’uomo e sul mondo. Stando così le cose, quando si familiarizza con il metodo
fenomenologico di Wojtyła si evita una mera ripetizione meccanica di certe verità e si entra in
un itinerario senza fine di ricerca appassionata della verità.
Ripetere verità senza comprendere da dove derivino implica qualche pericolo al
momento di interpretare adeguatamente Giovanni Paolo II?
Sì. Sono convinto del fatto che in alcuni ambienti esista un’interpretazione ideologica della
filosofia di Karol Wojtyła e poi del magistero di Giovanni Paolo II. È necessario usare sempre la
ragione per assentire. L’atto di fede è un consenso razionale di fronte a un dono che mi viene
offerto e che mi trascende. Quando l’essere umano si basa su una verità minimizzando l’uso
della sua ragione, quando ripete solo in modo formale, perde una grande ricchezza di contenuti
e a volte non riesce a condividere con i suoi simili che hanno bisogno di comprendere le ragioni
che difendono l’affermazione di una determinata verità. Nel campo della morale cristiana, ad
esempio, questo è fondamentale.
Quali sono i rischi che vede in questo?
I rischi di un’assimilazione parziale e perfino tendenziosa sono visibili in alcune controversie
che si stanno suscitando in vari settori conservatori che non riescono a comprendere le parole e
i gesti di Papa Francesco e li contrappongono ai suoi immediati predecessori. Anche se è certo
che Wojtyła, Ratzinger e Bergoglio sono persone diverse, è anche certo che Francesco non
rappresenta in alcun modo una rottura, ma al contrario una continuità molto creativa e messa in
pratica dell’insegnamento di Wojtyła e dello stesso Ratzinger.
Potrebbe fornire qualche esempio di quella che definisce “continuità creativa” tra
Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco?
I tre papi sono uomini che hanno amato profondamente il Concilio Vaticano II. Wojtyła ha
scritto un bel libro sull’importanza del rinnovamento apportato dal Concilio (“Alle fonti del
rinnovamento”) e un altro sull’antropologia filosofica che soggiace soprattutto nella “Gaudium et
spes” e nella “Dignitatis humanae”. Questo ultimo testo è forse l’opera più importante di Wojtyła
come filosofo. Si intitola “Persona e atto”, e la sua intuizione centrale consiste nel mostrare
come l’azione riveli la persona, come la persona si trascenda quando obbedisce in coscienza
alla verità e come l’essere e il fare insieme ad altri concorrano a creare una vita più umana e
solidale.
Benedetto XVI e Francesco hanno assimilato in modo molto esistenziale proprio questo
approccio. Nella sua autobiografia, Ratzinger si riconosce “personalista”, ovvero parte di
quell’ampio movimento che recupera la trascendenza della persona nell’azione e singolarmente
nell’azione insieme ad altri. Francesco, allo stesso modo, è un pastore riflessivo che privilegia la
comprensione delle persone in relazione, delle persone in comunità.
Da una prospettiva più teologica, si possono trovare altri elementi di continuità?
Ne segnalo semplicemente due: da un lato il primato della grazia e della misericordia di Dio di
fronte ai moralismi neopelagiani contemporanei. I tre papi sono stati estremamente acuti nel
denunciare la riduzione del cristianesimo a un mero congiunto di “valori”, a un ideale di
“decenza”, a uno sforzo ascetico per raggiungere la coerenza.
Dall’altro lato, concepire la Chiesa come Popolo di Dio che cammina nella storia, ovvero come
esperienza di comunione che manifesta empiricamente il Mistero che la fonda, è caratteristico
dell’ecclesiologia conciliare e dei tre papi.
Quest’ultimo tema è assai tipico della Chiesa latinoamericana, non le sembra?
In effetti, nella Quinta Conferenza Generale del Consiglio dell’Episcopato Latinoamericano,
celebrata ad Aparecida, si afferma con grande evidenza la necessità di superare l’intimismo e la
privatizzazione dell’esperienza di fede, ovvero di superare l’idea di vivere la fede al margine di
una compagnia.
In alcuni gruppi l’esperienza di comunione, di essere e fare insieme agli altri, si è diluita a tal
punto che si concepisce la “communio” come una mera sintonia intellettuale o un mero “sentirsi
Chiesa” senza necessità di appartenenza empirica alla carne concreta di una comunità
concreta.
In ogni gruppo che vuole riconoscersi come Chiesa dobbiamo reimparare a pregare insieme,
ad avvicinarsi ai sacramenti insieme, ad ascoltare la Parola in comunità, a discernere i segni di
tempi in comune e così a intraprendere sforzi creativi per la trasformazione del mondo secondo
Cristo soprattutto rispondendo al dolore dei più poveri e vulnerabili.
Questa è la scommessa e la proposta di Aparecida, le comunità di discepolato
missionario?
Un paragrafo che ricordo subito a questo riguardo è quello che dice più o meno che la fede ci
libera dall’isolamento dell’io perché ci porta alla comunione. Ciò significa che una dimensione
costitutiva dell’avvenimento cristiano è l’appartenenza a una comunità concreta nella quale
possiamo vivere un’esperienza permanente di discepolato e di comunione con i successori
degli apostoli e con il Papa. Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco sono eminenti
esponenti di questo modo incarnazionista di comprendere l’essere e il fare della Chiesa.
Tornando a Karol Wojtyła: qual è l’eredità intellettuale che ci lascia? Wojtyła era un
conservatore e Francesco è un liberale?
Le categorie conservatore-liberale, destra-sinistra, non riescono a cogliere il profilo dei papi.
Ricordo quando alcuni analisti francesi e nordamericani, prima della pubblicazione della
“Centesimus annus”, accusavano Giovanni Paolo II di essere “socialdemocratico”, di non
comprendere la democrazia liberale e l’economia di mercato.
Allo stesso modo, oggi esistono persone e gruppi che ritengono Bergoglio un conservatore di
fondo per la sua opposizione all’aborto e alla vita omosessuale attiva. Non è poi mancato
l’antico neoliberale devoto di Wojtyła che leggendo l’enciclica di Benedetto XVI “Caritas in
veritate” segnala con grande pregiudizio che questo documento è una ricaduta a sinistra. A mio
avviso, la vera eredità di Karol Wojtyła-Giovanni Paolo II trascende di molto il rigido schema
delle categorie nate nella modernità illuminista. Questa eredità è di ordine principalmente
cristiano e possiede importanti proiezioni culturali. Si può riassumere in un concetto elementare:
la nuova evangelizzazione.
Come risuona oggi la nuova evangelizzazione negli ambienti “supertecnificati”?
Non voglio assumere un tono pio, ma segnalare che i tre pontefici sanno molto bene che il
Vangelo annuncia la verità su Dio e sull’uomo rivelata in Cristo. Il Vangelo non è oggetto di
alcuna rivendicazione. L’aspetto nuovo della “nuova evangelizzazione” consiste nell’introdurre
una sensibilità rinnovata al cambiamento di epoca, ovvero alla crisi del paradigma
moderno-illuminato e alle ricerche (postmoderne) per uscirne. Usando il linguaggio di Wojtyła: è
la “controversia sull’umano” che si riformula in forme un po’ inedite all’inizio del XXI secolo.
Per questo è così importante essere attenti ai nuovi linguaggi giovanili?
E non solo a questi, ma anche ai segni e ai simboli della nuova cultura, all’uso delle nuove
tecnologie di comunicazione e interazione sociale e ai nuovi standard di condotta e identitari.
Chi non compie lo sforzo di comprendere il cambiamento di epoca è condannato a ripetere
formule del passato che al giorno d’oggi risultano poco intelligibili e che interpellano a livello
esistenziale.
Bisogna tornare a leggere Wojtyła in modo più speculativo per apprezzare la continuità
e anche la novità di Benedetto XVI e di Francesco?
Chi ritiene che la continuità sia ripetere staticamente una formula non capisce la dinamica
della fede, che è la dinamica di un Dio incarnato che continua ad essere presente nella storia.
La logica dell’Incarnazione è la logica della nuova evangelizzazione e quella che permette
un’ermeneutica della continuità dei concili e dei pontefici.
Cosa dire a chi si sente “sconcertato” davanti a Francesco?
Credo che possa trovare una pista illuminante pensando a Wojtyła. Sì, bisogna pensare a
Wojtyła per comprendere Bergoglio. E dico lo stesso di Ratzinger. Ma “pensare” significa
andare fino in fondo e non restare in superficie. “Pensare” significa innanzitutto
mobilitare la ragione attraverso un affetto rinnovato per la verità e per il bene. “Pensare”
in questo contesto significa anche comprendere con la ragione che un Amore ci sostiene
e ci precede al momento di regalarci un dono tanto immeritato come quello della
straordinaria persona di Papa Francesco.
Tratto da www.aleteia.org

Ti potrebbe piacere: