“Un giorno Gesù si trovava in un luogo
a pregare e quando ebbe finito uno dei
discepoli gli disse:
«Signore, insegnaci a pregare,
come anche Giovanni ha insegnato
ai suoi discepoli»…”
(Lc 11,1)
Come i discepoli vogliamo fare l’esperienza di conoscere meglio il pensiero di Dio e il suo modo di pregare. Prima di introdurci nella meditazione sulla preghiera di Gesù, che egli stesso ha insegnato, non dobbiamo dimenticare di fare una premessa: il pensiero è l’anima della parola ma la preghiera è il respiro dell’anima, è elevazione dell’anima a Dio.
Dunque è la preghiera che fa vibrante la parola e la parola diventa lo strumento del pensiero che pensa ed evolve verso il Signore. La preghiera ci ricorda che siamo figli e contemporaneamente ci rimette allo sguardo del Padre. Dio ha messo la preghiera nel nostro cuore perché possiamo parlargli con un moto diretto e dirgli: “Eccomi, so che tu sei mio Padre anche se non conosco molto o forse conosco poco delle cose. Tu mi hai insegnato, per Gesù, la tua parola e attraverso questa preghiera voglio donarti tutto quello che sono”. I discepoli chiedono a Gesù, quando lo vedono entrare in preghiera: “Come si fa a dire quelle parole (che evidentemente hanno udito da lontano nel silenzio di tante notti)”. Cercano, vogliono spiegazioni. È il Signore stesso che ci dice quanto sia perfetta questa orazione che non consta tanto nel significato delle parole messe in fila, quanto nel pensiero che si cela in esse.
Vogliamo analizzarle cercando di entrare nella profondità di quelle parole che ci spiegano e ci raccontano il pensiero del Maestro durante l’invocazione che innalza al Padre.
Per prima cosa, Gesù ci insegna a rivolgerci a Dio chiamandolo per nome: Padre, come a dire Padre dolce, dolcissimo quasi “Babbino nostro” con un senso di filiazione che scaturisce dal cuore dei più piccoli dei figli. Parlando a Lui in questo modo affermiamo che, al di là delle nostre necessità, riconosciamo che Egli è con noi, proprio davanti a noi, dentro di noi e invocandolo sentiamo intimamene di essere figli suoi perché fratelli di Gesù e dunque figli nel Figlio.
Dio è il “Padre nostro”, comune a tutti, il Padre che si trova, come dice la preghiera “nei cieli” ma non per fare riferimento ad una dimora materiale, ma a sottolineare che questa sua paternità, quella che esercita su ciascuno, viene dal cielo, in forma soprannaturale di cui ne gode tutta la terra che vive di questo rapporto con Dio, sin dalla nascita della vita umana, come dono dell’Altissimo.
“Sia santificato il tuo nome”. Non è tanto il fatto del nome in sé (rivelato a Mosè essere Jahvè,) ma sapere come il nome “Padre”, indichi la Persona e, come cita la preghiera, che “sia santificato”. Ma chi deve santificarlo e come? Vuol dire che l’uomo, il figlio, non aggiunge niente alla sua santità ma può partecipare della maestà della sua grandezza, della sua trascendenza, dandogli gloria. È come dire: assicura che la tua vita sia vissuta bene nel glorificare il Signore in tutto quello che fai e sarai messo in grado di santificare.
Dunque diciamo “Padre nostro che sei dentro di me, sopra di me, che mi sovrasti, mi precedi e mi segui, che sei nella pienezza, nelle dominazioni e nelle potenze dell’Eterno tuo Amore; che tu sia glorificato attraverso la mia lingua, la mia vita, il mio essere, il mio dolore e la croce che debbo portare con amore. Possiamo darti gloria dal più profondo delle nostre anime fino alle altezze più infinite dei cieli. Che possiamo avere un cuore pieno di te Padre Nostro”
“Venga il tuo regno”. Ci auguriamo, Signore, che tu possa farlo arrivare presto, che ci mostri il tuo regno, non tanto nel significato che ci indica questa attribuzione in quanto possessione di un reame ma piuttosto “venga” la tua azione che si compie nella nostra vita, nel mondo. Signore, mostraci l’attività regale, inviaci il tuo potere, facci conoscere il tuo regno, fa che in maniera larga possiamo essere aperti ed accoglienti a ciò che tu ci vuoi mandare. Aiutaci affinché arrivi presto il tuo regno di conoscenza vera delle cose visibili e invisibili, fa che possiamo aiutarci tra di noi collaborando con Te nell’avvento del divino regno, che non ci colga impreparati e si riveli finalmente al mondo tutta la pienezza della tua grazia che a Cristo fu negata.
“Sia fatta la tua volontà”. Signore insegnami a capire quello che tu vuoi e che possa accettare la tua volontà. Fa che accolga ogni cosa (non pervenuta per azione di peccato) nella mia vita con la consapevolezza che è quello che tu vuoi, è quello che tu permetti; che io possa compiere quanto ti attendi da me. Che possa dire: “Abba Padre sia fatto e si compia perché tu lo vuoi!”.
Fa che io riesca a realizzare ciò che hai disegnato, quello che tu hai sognato. Che io sia collaboratore del tuo progetto, della tua volontà, con una partecipazione generosa, pronta e fidente.
“Come in cielo così in terra”. Così come tutti quelli che sono i tuoi servitori e vivono in te, nella tua pienezza, così accada in tutti quelli che ancora non sono pienamente uniti in te e camminano in questo mondo materiale, che tu possa mettere i semi della tua gloria e così noi, sotto l’azione della tua Signoria, riusciamo ad essere e a fare le stesse cose di coloro che sono uniti in te.
“Dacci il pane non solo quotidiano”. Vorremmo tanto riflettere che il dono di Gesù Eucaristico Amore, Pane che si spezza, è proprio quel pane di cui tanto si parla in questa preghiera. Quando Gesù mette in evidenza la parola “pane”, certamente immaginiamo che non si riferisca esclusivamente al frutto naturale del frumento, né a quello che viene dalla manna del deserto, bensì a quello che ci dà un nutrimento che ci serve, non solo per oggi, ma per l’avvenire, il futuro. Quel pane che diventa “nostro” è vero dono del “Padre nostro” proprio come dice il termine Mahar che significa “domani”, quel pane che non mi farà avere più fame nonostante infinite pene e tribolazioni. Inevitabilmente il pensiero vola al Sacrificio dell’altare che è memoriale e non flebile ricordo della generosità di Gesù che si offre al Padre per noi. Egli ci precede con la sua oblazione santa e di martirio, con il suo sacrificio purissimo, adesso e per sempre, fino al domani che ci è sconosciuto. Dacci Signore il pane che ci toglie gli appetiti del mondo, dacci il nutrimento che ci assicura il paradiso per sempre. Dacci il pane che scaturisce dal Cuore aperto del tuo Figlio Gesù attraverso il quale saremo dissetati e sfamati.
“Rimetti a noi i nostri debiti”. Potremmo tradurre questa frase con un vantaggio, quello di mettere dentro tutti quei peccati che facciamo finta di non ricordare più oppure che non ricordiamo veramente. Quasi a dire: togli da noi, Signore, tutti questi” pesi del cuore”, non vogliamo più essere indebitati con te. Sii misericordioso e dimentica, nonostante la tua intelligenza avrà sempre davanti i nostri debiti, sappiamo che quando li rimetti Tu li cancelli.
“come noi li rimettiamo ai nostri debitori”. Essenziale questa frase! Quasi fondamentale perché anche noi dobbiamo perdonare agli altri, all’uomo che ci sta davanti. È vero che Cristo annulla ogni debito e che pure noi perdoniamo imperfettamente, spesso facendo cadere tutto con recriminazioni di sorta e quindi non sempre riuscendo a rimettere ai nostri debitori. Tuttavia, Signore, guarda alla misericordia con cui guarderemo i nostri fratelli.
“E non ci indurre in tentazione”. L’attuale preghiera con cui la Chiesa oggi ci ripropone questa parte del Padre Nostro, è cambiata in “non abbandonarci alla tentazione”, ovviamente è inutile dire che non soddisfi se non addirittura sia terribilmente inadatta, come d’altronde lo era la prima. Appare evidente lo smarrimento indotto dalla precedente traduzione e cioè: “non ci indurre in tentazione”. Non può essere Dio che induce né tantomeno incita al male il figlio e quindi solo satana ci porta alla tentazione quasi come se ci trascinasse dentro questo terreno attraverso i peccati, i pensieri non buoni, perfino la poca preghiera o il blando vegliare. Quindi sarebbe auspicabile tradurre la prima frase con “affinché non entriamo in tentazione”. Questo lo apprendiamo rileggendo il testo della preghiera perché il Signore ci fa capire che sarebbe meglio non entrare nella data tentazione. Non presumo avere la facoltà di conoscere quale sia la traduzione migliore, ma a me suona meglio “aiutaci a non cadere”, a non entrare in questo sorta di suolo contaminato che ci induce inevitabilmente alla tentazione.
Non dimentichiamoci che tradurre dal greco “peirasmos”, con prova, vale a dire cioè che non è solo una tentazione di fatto. Dunque “Aiutaci a stare fuori da questo senso di smarrimento, a non entrare in questo suolo paludoso; aiutaci con ogni illuminazione a non farci entrare proprio in questa tentazione, non permettere”. Potremmo dire anche: “fa che siamo in grado di capire là dove c’è tentazione quindi attraverso tutte le forme che ci hai dato, Padre Nostro, sostienici! Che la tentazione non ci strappi da te e infine non lasciarci Signore dopo essere caduti, essere divenuti schiavi entrando nel mare turbolento della tentazione; che sia una prova positiva”.
Non è semplice tradurre correttamente questa frase ma ci viene in aiuto la consapevolezza che il Signore Gesù, sapendo, abbia pregato per noi, per il futuro di tutti, affinché nel presente riuscissimo a stare lontano dalla tentazione o comunque a superarla. Possiamo allora immaginare la potenza di quelle parole nel pensiero di Gesù perché ci eviti di soccombere nella tentazione.
“liberaci dal male” o dal maligno: ovvero colui che lo provoca, colui che da sempre vuole schiacciarci, attrarci a sé con innumerevoli persuasioni immonde e peccati per farci cadere prigionieri e vittime delle sue seduzioni. Man mano egli fa sì che questa tentazione diventi possibile e una volta entrati in essa diviene tomba definitiva del nostro vivere.
Quindi piuttosto che “liberaci” ti diremmo, Signore, tienici lontani dall’azione del maligno, “evitaci” le opere sue con la nostra volontà di non volerlo e con la tua volontà, Padre Nostro, di volerci aiutare e volerci santificare. Quando saremo più deboli, allontana da noi, Signore, queste suggestioni e ossessioni che satana ci crea nel pensiero. Immaginiamo come Gesù preghi per noi e come Figlio Divino si rivolge al Padre per tutti i figli che ti pregheranno dunque: tienici lontani dal demonio e tieni a distanza da noi l’opera sua e che mai possiamo mettere in atto quello che ci suggerisce nel pensiero, con le idee, con quanto ci circonda che non è tua Santissima volontà.
Fa’, o Signore, che il nemico infernale si tenga lontano da noi e qualora questa guerra a cui siamo chiamati attraverso una prova, una caduta, una fragilità spirituale, non faccia prevalere la potenza delle tenebre ma piuttosto, con la forza di Cristo, sentiamo il Regno dentro di noi che arriva, mi accompagna perché la tua grazia preesistente ci soccorre sempre se siamo fiduciosi.
Amén, ovvero così sia!