Nella festa di oggi la croce non è presentata ai cristiani nella sua dimensione di sofferenza cruenta, di inevitabile necessità per divenire santi, ma nel suo aspetto glorioso, come motivo di vanto non di pianto. L’antifona d’ingresso della festa odierna ci invitano ad un sacrosanto orgoglio: “Di null’altro mai ci glorieremo se non della croce di Cristo, nostro Signore” (Gal. 6, 14).
La devozione ed il culto per la santa Croce, dove Cristo immolò la propria vita per noi risale agli inizi del cristianesimo. Nella liturgia se ne ritrova testimonianza fin dal IV secolo. Nei testi della Messa e della liturgia delle Ore la Chiesa loda con giubilo la santa Croce, che fu strumento della nostra salvezza. L’esaltazione della Santa Croce è la festa della scoperta della vera Croce, rubata dal re dei Persiani nel corso d’una guerra, riconquistata nel 629 ed autentificata da una guarigione miracolosa e poi riportata a Gerusalemme.
La Chiesa ha istituito una festa liturgica in onore di questo avvenimento. Essa le ha dato il nome di Esaltazione della Santa Croce per ricordare la sua uscita dalla terra in cui era stata rubata, il suo riconoscimento autentico fatta dall’autorità del suo Magistero, una lezione opportuna per i cristiani di esaltare nella loro propria vita questa croce redentrice, segno di tanti guadagni spirituali, fonte di tante speranze e di così grande bene.
Sì, esaltiamo la Croce, la croce del nostro Divin Salvatore, perché essa è portatrice di salvezza e di gioia. Nella nostra vita la Croce si presenta spesso in modalità assai diversificate: malattia, povertà, stanchezza, dolore, disprezzo, solitudine. Nella festa di oggi possiamo esaminare com’è il nostro abituale atteggiamento dinnanzi alla croce, che talvolta appare difficile e dura, ma che, se la portiamo con amore, si trasforma in fonte di purificazione e di vita, e persino di serenità. Il primo segno religioso insegnato al bambino è il segno della croce. La prima spiegazione di catechismo dà di questa croce il suo senso di assemblea: essa è il segno del cristiano.
Quanti segni di croce, nella giornata d’un vero cristiano! Quanti segni di croce nelle formule liturgiche delle benedizioni, dell’amministrazione dei Sacramenti, degli Uffici liturgici!
Prima di Cristo, la croce esisteva come strumento di tortura e di punizione dei colpevoli. L’umiltà di Gesù gli ha fatto scegliere la croce, riservata agli schiavi condannati alla pena di morte, al fine di salvare il mondo su questo legno di penitenza, divenuto albero di redenzione.
Dopo il giorno del Venerdì Santo, la croce è stata esaltata: essa è divenuta il segno della liberazione umana, contro il male, il peccato, la disgrazia eterna, la disperazione e la sconfitta definitiva e totale.
Esaltiamo la croce, noi cristiani del XXI secolo. L’attacco del materialismo senza fede e senz’anima non riconosce alcun senso alla croce e non gli fa alcun posto. La croce di Cristo non è destinata ad essere fissata solo su delle tombe, dove essa ha un senso di speranza e di eternità. Essa deve, al di sopra degli uomini in piena vita, drizzarsi come un simbolo di sforzo e di sacrificio e come simbolo di vittoria e di liberazione umana.
E’ essa che ha salvato il mondo sul piano soprannaturale e propriamente divino. Probabilmente anche noi fin da bambini abbiamo imparato a fare il segno di croce sulla fronte, sulle labbra e sul cuore, come simbolo esteriore della nostra fede. Nella liturgia, la Chiesa utilizza il segno della croce sugli altari, nel culto, sugli edifici sacri.
E’ essa che ha fatto sorgere un mondo nuovo sul piano umano. Mondo pesante ancora delle ingiustizie, delle miserie di cui il cuore dell’uomo è la sorgente incessantemente zampillante, ma mondo, malgrado tutto, arricchito di valori spirituali, umani, sociali, sconosciuti fin allora; mondo dove la coscienza, diventata cristiana, condanna tutto quello che non è né giusto, né buono, né umano.
Ed è ancora là una esaltazione del premio del linguaggio della croce. La forza ed il suo effimero successo non potranno mai farla tacere. La croce abbracciata da Gesù, patibolo infamante riservato agli schiavi, è segno d’onore.
Don Marcello Stanzione